lunedì 20 giugno 2011

Tarsu soppressa dal 2010 e 2011

La materia dei rifiuti solidi urbani nel corso degli anni è stata disciplinata da cinque diversi principali interventi legislativi. Il legislatore, con i vari interventi, ha previsto un articolato regime transitorio, che concede termine ai Comuni, da ultimo fino a tutto il 2009, per sostituire la TARSU con la TIA.
Di conseguenza, la TARSU non esiste più per gli anni 2010 e 2011 perché è stata tassativamente abrogata, in quanto manca una precisa e specifica legge di proroga (art. 23 della Costituzione).
La materia dei rifiuti solidi urbani nel corso degli anni è stata disciplinata da
cinque diversi principali interventi legislativi (come ben puntualizzato dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 238 del 16 luglio 2009 in G.U. del
29/07/2009).
E ciò non poteva essere diversamente, tenuto conto che l’art. 23 della
Costituzione testualmente dispone:“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (c.d. riserva relativa di legge).
Gli interventi legislativi negli anni:
- Il regio decreto n. 1175 del 14/09/1931 prevedeva originariamente la
corresponsione al Comune di un “corrispettivo per il servizio di ritiro e
trasporto delle immondizie domestiche” ed attribuiva natura privatistica al
rapporto tra utente e servizio comunale.Tale configurazione sinallagmatica del rapporto è stata, però, radicalmente
mutata:
dall’art. 10 della Legge n. 366 del 20 marzo 1941;
e dall’art. 21 del DPR n. 915 del 10 settembre 1982.
In particolare, con tali modifiche, il legislatore ha esteso e reso obbligatorie sia
l’effettuazione dei vari servizi relativi allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani
“interni” sia l’applicazione della “tassa”; infine, con la Legge n. 144 del 24
aprile 1989, sono stati ricompresi anche i rifiuti solidi urbani “esterni”,
ribadendo la qualificazione di “tassa” (natura tributaria).
- La Tarsu...Un secondo essenziale intervento legislativo è costituito dal D.Lgs. n. 507 del
15 novembre 1993, in base al quale, a decorrere dall’01/01/1994, i Comuni
“debbono istituire una tassa annuale” da applicarsi “in base a tariffa”,
secondo appositi regolamenti comunali, a copertura parziale (dal 50%
al 70%) del costo del servizio stesso.
In particolare, la tassa, mediante determinazione tariffaria da parte del Comune,
“può essere commisurata in base alla quantità e qualità medie ordinarie per
unità di superficie imponibile di rifiuti solidi producibili nei locali ed aree per il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati, e al costo dello smaltimento”.
La natura pubblicistica e non privatistica del prelievo è ulteriormente
evidenziata sia dalla regola secondo cui “L’interruzione temporanea del servizio
di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non
comporta esonero o riduzione del tributo” sia dalla previsione di una “tassa
giornaliera”.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 446 del 15/12/1997, il Comune ha
soltanto la facoltà di disciplinare con proprio regolamento l’affidamento a terzi
delle fasi di liquidazione, accertamento e riscossione della tassa (vedi successiva
lett. H del presente articolo).
- La Tia...Un terzo intervento legislativo si è realizzato con l’entrata in vigore
dall’01/01/1999 dell’art. 49 del D.Lgs. n. 22 del 05 febbraio 1997 (c.d.
decreto Ronchi), il quale ha previsto l’istituzione, da parte dei Comuni, di una “tariffa” per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione
dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle
strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio
comunale.
Tale tariffa è composta:
· da una quota fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del
costo del servizio;
· e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio
fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la
copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Con il regolamento ministeriale approvato con il DPR n. 158 del 27
aprile 1999 è stato elaborato il metodo normalizzato per definire le
componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento.
Diversamente dalla normativa sulla TARSU, l’art. 49 cit.:
· evita di qualificare espressamente il prelievo come “tributo” o “tassa”,
pur mantenendo il riferimento testuale alla “tariffa”;
· stabilisce che la TIA deve sempre coprire l’intero costo del servizio di
gestione dei rifiuti;
· dispone che detta tariffa è dovuta anche per la gestione dei rifiuti
“esterni”;
· non reca, con riguardo alla TIA, specifiche disposizioni in tema di
accertamento, liquidazione e sanzioni (Cassazione, Sez. Tributaria –
ordinanza n. 22377 del 03/11/2010).
Le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA/1 hanno natura
tributaria e la loro attribuzione alla cognizione delle Commissioni
Tributarie rispetta il parametro costituzionale (Corte Costituzionale,
sentenza n. 238/2009 cit.).
La completa soppressione della TARSU e la sua sostituzione con la TIA,
inizialmente fissata a decorrere dall’01/01/1999, è stata via via differita
dal legislatore il quale, preso atto della difficoltà di rendere operativa, per i
vari Comuni, l’abolizione del prelievo soppresso, ha previsto con numerose
disposizioni, contenute soprattutto nelle varie leggi finanziarie, un articolato
regime transitorio (oggi esaurito).
- Il regime transitorio Tarsu - Tia 1:
Il legislatore, con i vari interventi, ha previsto un articolato regime transitorio,
che concede termine ai Comuni, da ultimo fino a tutto il 2009, per sostituire
la TARSU con la TIA, secondo uno scadenzario differenziato, in ragione sia del
grado di copertura dei costi dei servizi raggiunto dai diversi Comuni sia dalla
popolazione dei Comuni stessi (art. 1, comma 184, della Legge n. 296 del 27
dicembre 2006, quale modificato dall’art. 5, commi da 1 a 2 quinques, del D.L.
208 del 30 dicembre 2008, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della Legge n. 13 del 27 febbraio 2009).
In particolare, l’art. 5, comma 1, del D.L. n. 208/2008 cit., che ha esteso
anche al 2009 la previsione contenuta nell’art. 1, comma 184, della Legge n.
296 cit. (Finanziaria 2007), ha stabilito, nella formulazione della norma della
Finanziaria 2006, modificata dal citato D.L. n. 208/2008, convertito, con
modificazioni, dalla Legge 27/02/2009 n. 13, che:
“Nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni:
a) il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento
rifiuti adottato in ciascun Comune per l’anno 2006 resta invariato
anche per l’anno 2007 e per gli anni 2008 e 2009”.
Questa è l’ultima proroga legislativa che c’è stata, tanto è vero che da
allora nessuna legge ha previsto specifiche ed ulteriori proroghe per gli
anni 2010 e 2011.
Di conseguenza, la TARSU non esiste più per gli anni 2010 e 2011
perché è stata tassativamente abrogata, in quanto manca, ripetesi, una
precisa e specifica legge di proroga (art. 23 della Costituzione).
Oltretutto, se veramente il legislatore avesse voluto prorogare la TARSU
per gli anni 2010 e 2011, lo avrebbe scritto in modo chiaro e preciso,
come ha fatto per le precedenti proroghe sino al 2009 (QUOD LEX
VOLUIT DIXIT).
- La Tia 2:
La quarta rilevante modifica legislativa del prelievo è costituita dall’art. 238 del
D.Lgs. n. 152 del 03 aprile 2006, che ha determinato la “tariffa integrata
ambientale” (c.dTale tariffa deve essere determinata ad opera dell’autorità d’ambito territoriale
ottimale (AATO), almeno sino al 31/12/2011, entro tre mesi dalla data di
entrata in vigore del regolamento ministeriale (che si sarebbe dovuto emanare
entro il 30 giugno 2010), con il quale sono fissati i criteri generali per la
definizione delle componenti dei costi e la determinazione della tariffa.
La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti
essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le
opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità
di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che
sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
E’ espressamente previsto che la tariffa è applicata e riscossa dai soggetti
affidatari del servizio di gestione integrata e che la sua riscossione, volontaria o
coattiva, può essere effettuata secondo le disposizioni del DPR n. 602/73
mediante convenzione con l’Agenzia delle entrate.. TIA/2 per distinguerla dalla precedente TIA/1).
- Regime transitorio Tia 1 - Tia 2:
La soppressione della precedente tariffa di igiene ambientale (TIA/1) ha effetto
dalla data di entrata in vigore dello stesso art. 238 cit. ma, fino alla completa
attuazione della nuova TIA/2 (cioè l’emanazione del sopracitato regolamento
ministeriale ed il compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa),
“continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (comma
10), cioè le disposizioni contenute nel DPR n. 158 del 27 aprile 1999,
cioè l’unico regolamento governativo operativo (“Regolamento recante norme
per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di
gestione del ciclo dei rifiuti urbani” TIA/1).
Infatti, l’art. 5 del D.L. n. 208/2008 cit., comma 2-quater, testualmente dispone:
“Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno
2010, i comuni che intendono adottare la tariffa integrata ambientale
(TIA/2) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e
regolamentari vigenti”.
Quindi, alla luce degli sviluppi normativi sopra esposti, abrogata la
TARSU per gli anni 2010 e 2011, i Comuni devono obbligatoriamente
adottare la TIA/1 od eventualmente possono optare per la TIA/2,
utilizzando, però, le disposizioni dell’unico regolamento governativo
adottato con il DPR n. 158 del 27/04/1999 per la TIA/1 pur in
mancanza del regolamento TIA/2 (sino ad oggi non ancora emanato).
- Infine, nonostante il preciso intervento della Corte Costituzionale sopra esposto,
il legislatore, con l’art. 14, comma 33, del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010,
convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha
previsto in ordine alla TIA/2 che:
“Le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è
tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente
alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione
dell’autorità giudiziaria ordinaria”.
In sostanza, per effetto di tale disposizione, si viene a creare la seguente,
assurda situazione:
· la TIA/2 ha “ope legis” natura di corrispettivo (mera prestazione
patrimoniale non imposta), di competenza del giudice ordinario;
· la TIA/1, invece, ha natura tributaria, di competenza delle
Commissioni tributarie (C.Cost. sentenza n. 238/2009 cit.).
E’ facile immaginare che la recente normativa tornerà alla Corte Costituzionale
per essere censurata alla luce dei tassativi criteri cui far riferimento per
qualificare come tributari alcuni prelievi, e cioè:
· doverosità delle prestazioni;
· mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti;
· collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione
ad un presupposto economicamente rilevante.
I suddetti criteri sono stati più volte adottati dalla Corte Costituzionale
con le seguenti sentenze:
n. 141 del 2009;
· n. 335 del 2008;
· n. 64 del 2008;
· n. 334 del 2006;
· n. 73 del 2005;
· n. 238 del 2009 citata.
REGOLAMENTI E NORMATIVA:
è opportuno chiarire cosa si
intende per “regolamento” e quale specifica normativa è applicabile.
Il potere esecutivo ha, come attribuzione propria ed ordinaria, la potestà di
emanare norme secondarie giuridiche, dette regolamenti.
Il regolamento è legge soltanto in senso materiale.
Come manifestazione di potestà amministrativa, da una parte è subordinato,
nella gerarchia delle fonti, alle leggi costituzionali ed a quelle ordinarie
formali ed agli altri atti normativi che hanno efficacia di legge ordinaria;
dall’altra è retto dai principi concernenti gli atti amministrativi (LANDIPOTENZA
).
Dalla sua natura formale di atto amministrativo discende che il contrasto
della norma regolamentare con norme costituzionali non forma oggetto di
giurisdizione della Corte Costituzionale, ma può essere fatto valere con i normali
mezzi di impugnazione degli atti amministrativi, così come il suo contrasto con
norme di legge ordinaria.
Attualmente, possiamo individuare tre gruppi di regolamenti (eccetto
quelli regionali):
1) Regolamenti governativi
L’art. 17 della Legge n. 400 del 23 agosto 1988 prevede che con DPR,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di
Stato, possono essere adottati i seguenti cinque tipi di regolamento:
· di esecuzione (come il D.P.R. n. 158/1999 cit);
· d’attuazione ed integrazione di leggi e di decreti legislativi;
· indipendenti;
· di organizzazioni;
autorizzati (c.d. regolamenti di delegificazione), emanati per la
disciplina delle materie non coperte da riserva assoluta di legge e
tuttavia disciplinate sempre con legge ordinaria.
I regolamenti autorizzati possono essere adottati soltanto quando la legge
prevede espressamente che certe materie, non coperte da riserva assoluta di
legge, possono essere disciplinate dalla fonte regolamentare.
In tal caso, la legge ordinaria fissa sempre le norme generali regolatrici della
materia e consente soltanto al Governo di intervenire, per la parte non
disciplinata dalla stessa legge, con regolamento autorizzato in modo che dal
momento dell’entrata in vigore delle norme regolamentari si considerano
abrogate le norme di legge già vigenti.
Il meccanismo dell’art. 17, comma 2, cit. comporta quella che è stata definita
una delegificazione, consistente in un “alleggerimento” della disciplina
parlamentare a favore di una disciplina decentrata soltanto al Governo
di alcune materie.
Ovviamente, l’abrogazione della legislazione previgente è da imputare soltanto
alla legge ordinaria e non certo al regolamento, che non avrebbe certo la forza di
incidere sulla legge, in quanto la Costituzione riconosce solo alla fonte legislativa
primaria la determinazione della competenza della fonte subordinata alla stessa
legge e, quindi, anche dei regolamenti governativi autorizzati.
I cinque tipi di regolamento di cui sopra, nonché i regolamenti ministeriali ed
interministeriali, devono tassativamente:
· recare la denominazione di “regolamento”;
· essere adottati previo parere del Consiglio di Stato;
· essere emanati dal Presidente della Repubblica (art. 87 della
Costituzione);
· essere sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei
Conti;
· essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
Un regolamento di questo specifico tipo è quello della TIA/1 (DPR n.
158 del 27 aprile 1999, in G.U. S.0. n. 129 del 04 giugno 1999), da
qualificarsi come regolamento di esecuzione.
In ogni caso, i regolamenti ministeriali o interministeriali non possono dettare
norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo come fonti di
grado superiore.
2) Regolamenti comunitari
Si tratta di regolamenti che fanno seguito a disposizioni della “legge
comunitaria” tramite la quale l’Italia si adegua annualmente agli atti comunitari,
come già previsto dalla Legge n. 86 del 09 marzo 1989 (art. 4).
3) Regolamenti delle Province e dei Comuni (esclusi quelli regionali).
L’art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997 testualmente
dispone:
“Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie
entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e
definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della
aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di
semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non
regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti”.
4) Fonti del diritto e microgerarchia dei regolamenti
Legge è la norma consacrata in una precisa formula espressa da speciali organi
sovrani.
La legge, dunque, è il comando espresso che proviene dalla consapevole volontà
di un legislatore, formulato in determinate parole.
L’unico potere normativo originario e primario è quello del Parlamento (e dei
Consigli Regionali): sicchè il potere di adottare successivi regolamenti deve
trovare il suo fondamento soltanto in una precedente ed espressa norma di
legge.
I regolamenti, invece, sono norme secondarie giuridiche emanate dagli organi
del potere esecutivo (art. 87 della Costituzione).
I regolamenti possono essere emanati anche dalle Regioni, dalle Province e dai
Comuni; essi valgono naturalmente solo nell’ambito della rispettiva competenza
e non possono derogare né alle leggi ordinarie né ai regolamenti
emanati dal Governo (artt. 3, comma 2, e 4, comma 2, preleggi al codice
civile).
Il regolamento è per sua natura sempre subordinato all’atto legislativo
(art. 4, comma 1, preleggi al codice civile).
Qualora il regolamento non rispetti i limiti e le condizioni stabilite dalla
legge non ha valova rilevato che,
avendo essi natura sostanzialmente normativa ma forma amministrativa (l’atto
che li contiene è un decreto) e provenienza da organi che hanno anche titolarità
di funzioni amministrative, si è tradizionalmente posto il problema di come
differenziarli dagli atti amministrativi a contenuto generale (ad esempio:
provvedimenti fissanti, in via generale, condizioni di contratto, tariffe, prezzi, atti
di pianificazione generale).
In proposito, si può ricordare che, secondo la giurisprudenza, i regolamenti sono
atti espressione di potestà normativa secondaria rispetto a quella legislativa
disciplinanti in astratto rapporti giuridici, in attuazione di precedenti leggi, con i
caratteri della generalità ed astrattezza.
Gli atti amministrativi generali sono, invece, espressione di potestà
amministrativa e rivolti alla cura concreta di interessi pubblici (Cassazione
civile, Sez. Unite, sentenza n. 10124 del 28/11/1994).
L’art. 3 delle preleggi al codice civile stabilisce che:
“Il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere
costituzionale.
Il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle
rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari”.
L’art. 4 delle preleggi al codice civile, a sua volta, precisa che:
“I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni
delle leggi. I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell’art.
3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei
regolamenti emanati dal Governo”.
Infatti, sono fonti del diritto (art. 1 delle preleggi c.c.):
1) le leggi;
2) i regolamenti;
3) gli usi.
Di conseguenza, come vi è una preferenza della legge sul regolamento
(art. 4 cit.), così vi è una preferenza del regolamento governativo sul
regolamento ministeriale e sui regolamenti comunali e provinciali.
L’art. 23 della Costituzione più volte citato, secondo cui le prestazioni personali
e patrimoniali possono essere imposte solo in base alla legge, richiede per
comune opinione della giurisprudenza e della dottrina che, una volta determinatire normativo.

per legge oggetto, criteri e soggetti passivi, la semplice quantificazione precisa
dell’imposizione può essere lasciata ad atti specificativi, come i regolamenti (c.d.
riserva relativa di legge).
Infatti, si ha riserva relativa di legge quando sulla base di una preventiva
determinazione della parte essenziale della disciplina ad opera della legge
possono intervenire fonti subordinate ed in particolare i regolamenti (art.
17 Legge n. 400/1988 cit.).
Inoltre, a puro titolo indicativo, si precisa che la legge statale prevale sempre su
quella regionale in forza del “principio di cedevolezza”, anche quando e se
intervenisse a rettificare in modo peggiorativo le posizioni giuridiche, fatte
ovviamente salve eventuali discriminazioni.
Nel caso di conflitto tra norme di rango diverso, in ogni caso, non si verifica
un’abrogazione tout court, ma ha luogo “una provvisoria prevalenza della
legislazione statale, nelle more dell’adeguamento della legislazione
regionale”.
Il principio di diritto è stato riaffermato, ultimamente, dalla sezione
lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12131/11,
depositata il 03 giugno 2011.
I) REGOLAMENTI TARSU – TIA/1 – TIA/2 –
Nella materia oggetto del presente lavoro, si possono schematicamente
individuare i seguenti regolamenti:
1) TARSU
- Regolamento comunale (art. 68 D.Lgs. n. 507 del 15/11/1993).
2) TIA/1
- Regolamento governativo (DPR n. 158 del 27/04/1999 in G.U. S.O. n.
129 del 04/06/1999) da qualificare regolamento esecutivo (vedi lett. H,
n. 1);
- Regolamento comunale (art. 21 D.Lgs. n. 22 del 05/02/1997).
3) TIA/2
Regolamento governativo (art. 238, commi 6 e 11, del D.Lgs. n. 152 del 03
aprile 2006), che deve ancora essere emanato, nonostante sia
abbondantemente scaduto il termine del 30 giugno 2010 (art. 5, comma 2-
quater, D.L. n. 208/2008 più volte citato, come modificato dalla Legge n. 25 del
26/02/2010).
Quindi, in conclusione, anche alla luce di quanto sopra esposto circa la gerarchia
delle fonti del diritto e dei subordinati regolamenti:
la TARSU non è stata prorogata per il 2010 e 2011 e, quindi, è stata soppressa
con il relativo regolamento comunale;
la TIA/1 è operativa a tutti gli effetti dal 2010 e seguenti, con il
regolamento governativo n. 158 del 1999 citato (oltre ai regolamenti
comunali);
la TIA/2 può essere scelta dai Comuni, che, in assenza dello specifico
regolamento governativo, possono adottare soltanto quello della TIA/1.
Interpretazione ministeriale
Innanzitutto, con la circolare n. 3/DF dell’11/11/2010, lo stesso Ministero
dell’Economia e delle Finanze rileva e precisa che:
“In questo quadro normativo alquanto intricato, numerosi Comuni
hanno sollevato comprensibili dubbi in ordine al prelievo tributario
applicabile in materia di gestione di rifiuti e se sulla TIA/1 possa continuare
ad essere applicata l’IVA a seguito della norma appena riportata.
Per cui appare indispensabile procedere ad una lettura sistematica delle
disposizioni innanzi enucleate”.
Dopo tale necessaria ed utile premessa, però, il Ministero, in modo alquanto
conciso e sbrigativo, conclude nel modo seguente:
“Per i Comuni in questione non si pongono particolari problemi, poiché possono
continuare ad applicare la TARSU utilizzando eventualmente, ai fini della
determinazione delle tariffe, i criteri delineati nel DPR n. 158/1999, operazione
da ritenere senz’altro possibile secondo quanto affermato:
· nella circolare n. 25/E del 17 febbraio 2000, in cui è stato chiarito
che “risulta sostanzialmente coerente con il principio dell’art. 65
l’utilizzazione dei criteri dettati dal metodo normalizzato per la
determinazione della tariffa della tassa;
· nella decisione n. 750 del 10 febbraio 2009, in materia di TARSU, in
cui il Consiglio di Stato
ha posto in evidenza come il DPR n. 158/1999
“non fissa solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità
di rifiuti solidi urbani prodotti per categoria di utenza, ma persegua anche
lo scopo di stabilire il metodo sulla base del quale gli Enti locali devono
calcolare la tariffa stessa”.
Le sintetiche conclusioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze
non sono assolutamente accettabili perché:
· innanzitutto, fanno riferimento ad una circolare del lontano anno 2000 e
ad una decisione del Consiglio di Stato del 10/02/2009 quando era per
legge ancora operativa la TARSU (soppressa, invece, per gli anni 2010
e 2011); quindi, il riferimento temporale è inopportuno,oltre che inutile,
perché i documenti citati non prendono assolutamente in
considerazione la nuova problematica sorta soltanto nel 2010;
· inoltre, anche a voler ignorare quanto sopra, con l’abrogazione della
TARSU dal 2010 sono caduti automaticamente tutti i relativi
regolamenti comunali (vedi lett I) e con l’unica legge relativa alla
TIA/1 e TIA/2, attualmente, è applicabile l’unico regolamento governativo
esistente (DPR n. 158 cit.), che logicamente si riferisce soltanto alla
specifica normativa della TIA/1 (tanto è vero che i riferimenti giuridici
sono fatti al D.Lgs. n. 22 del 05 febbraio 1997 e la determinazione della
tariffa è fatta tenendo conto della parte fissa e della parte variabile, ex
art. 3, comma 2, cioè a criteri totalmente diversi dalla TARSU, come
abbiamo esposto alle lettere B) e C) del presente articolo);
· oltretutto, lo stesso Ministero, con la succitata circolare, ha precisato che
i singoli Comuni, con la TIA/1, devono conseguire l’immediata
copertura totale dei costi di gestione, comprensivi di voci ulteriori
rispetto a quelle relative ai soli costi inerenti il servizio di
smaltimento dei rifiuti;
· infine, il Consiglio di Stato, con la succitata decisione, richiama il D.P.R.
n. 158/1999 soltanto “per le classi di utenza” e non certo per
l’integrale costo del servizio (infatti, si fa riferimento all’ 88, 42% del
costo del servizio per gli alberghi).
Quindi, quando l’art. 238, comma 11, del D.Lgs. n. 152 cit. (TIA/2) afferma
che: “Sino all’emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al
compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad
applicarsi le discipline regolamentari vigenti” è chiaro che il riferimento è
fatto soltanto al regolamento governativo n. 158 cit. (della TIA/1)
perché, tenendo conto della gerarchia delle fonti sopra esposta (lettere H ed I):
· la TARSU è stata soppressa per gli anni 2010 e 2011 perché non è stata
più prorogata (art. 49, comma 1, D.Lgs. n. 22/97 cit.);
ggi esiste soltanto la TIA/1 e, per opzione, la TIA/2;
· l’unico regolamento applicabile è quello governativo n. 158 cit. (c.d. di
esecuzione) che disciplina soltanto la TIA/1 e, per opzione, la TIA/2, mai
però la TARSU, che ha caratteristiche e struttura completamente
diverse.
Infatti, la TIA/2 funziona in modo analogo alla TIA/1, anche se è stata qualificata
entrata non tributaria dal D.L. n. 78/2010 cit. (rinvio alla lett. G del presente
articolo).
In materia di federalismo fiscale municipale, il legislatore, ultimamente, con
l’art. 14, comma 7, D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 (in G.U. n. 67 del
23/03/2011) ha statuito che:
“Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla
gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti
comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti
solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità
per i Comuni di adottare la tariffa integrata ambientale”.
A tal proposito, occorre precisare quanto segue.
1) Il riferimento ai “regolamenti comunali” non può che riferirsi ai soli
regolamenti comunali della TIA/1 (art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 22/97) e non
certo ai regolamenti comunali TARSU (art. 68, comma 1, D.Lgs. n. 507/93)
ormai decaduti perché la relativa legge è stata soppressa.
Diversamente opinando, si avrebbe l’assurdo, costituzionalmente illegittimo, che
un semplice regolamento comunale si sostituisce e fa rivivere una legge ormai
abrogata, stravolgendo sensibilmente la gerarchia delle fonti (art. 23 della
Costituzione).
In altre parole, quando in molteplici sue disposizioni la Costituzione prevede che
“in base alla legge” (come nell’art. 23 cit.) saranno adottate certe
normative, ciò significa che soltanto il Parlamento è tenuto ad intervenire per
dettare le sue discipline, a secondo dei casi più o meno dettagliatamente
articolate, e non potrebbe, quindi, disporre nella sua legislazione l’affidamento
di una ulteriore disciplina a fonti diverse e secondarie (come i regolamenti).
Secondo la Corte Costituzionale, infatti, la riserva (anche relativa)
implica, dunque, sia “il monopolio del legislatore”, escludendo la
concorrenza delle fonti secondarie, sia l’imposizione “alla autorità
normativa primaria di non sottrarsi al compito che solo ad essa è
affidato” (Corte Costituzionale, sentenza n. 383 del 1998).
Il principio della riserva di legge, inoltre, è soddisfatto anche se a disciplinare
una materia siano atti con forza di legge (sentenze n. 126 del 1969 e n. 184 del
1974 della Corte Costituzionale), purchè non si tratti di semplici atti di
formazione secondaria, come i regolamenti.
2) La diversa terminologia “tassa” e “tariffa” è ininfluente perché la TIA/1 è a
tutti gli effetti una “tassa”, come ha precisato la Corte Costituzionale con la
più volte citata sentenza n. 238 del 2009 (lett. C) del presente articolo).
3) In definitiva, oggi, per i Comuni l’unica opzione possibile è tra la TIA/1 e la
TIA/2, tanto è vero che l’art. 14 cit. conferma la possibilità di adottare la
tariffa integrata ambientale (TIA/2), logicamente adottando l’unico
regolamento governativo oggi esistente (n. 158/1999), come stabilito
dall’art. 5, comma 2-quater, del D.L. n. 208/2008, anche questo più volte
citato.
4) Infine, anche a voler prescindere da tutto quanto sopra esposto, il D.Lgs. n.
23 del 14 marzo 2011 è entrato in vigore il 07 aprile 2011 (G.U. n. 67
del 23/03/2011 – art. 73, comma 3, della Costituzione) e quindi:
· non riguarda assolutamente l’anno 2010, per cui la TARSU rimane
soppressa per tutto l’anno 2010;
· non riguarda neppure l’anno 2011, perché la norma non ha effetto
retroattivo, per cui i Comuni già all’01/01/2011 avrebbero dovuto
adottare la TIA/1, in continuità, peraltro, con l’anno 2010 (salvo
eventualmente l’opzione per la TIA/2);
· non è stato minimamente modificato l’art. 49, comma 1, del D.Lgs. n.
22/97, che ha soppresso, in attuazione di Direttive comunitarie, la
“tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani” ed ha istituito una “tariffa”
per la copertura totale (e non più parziale) dei costi del servizio di
smaltimento, che deve essere sempre determinata dall’ente impositore e
mai dalla società di gestione dei servizi (Cassazione – Sezione Tributaria
– sentenza n. 8313 del 02 marzo 2010, depositata l’08 aprile 2010).
Ricorsi tributari e disapplicazione dei regolamenti
Alla luce di quanto sopra esposto a livello giuridico, i contribuenti possono
impugnare le cartelle esattoriali TARSU per gli anni 2010 e 2011 entro 60 giorni
dalla notifica alla competente Commissione Tributaria, chiedendo l’annullamento
totale perché la TARSU non è più applicabile per gli anni 2010 e 2011.
Oltretutto, i contribuenti, nei ricorsi introduttivi, possono chiedere ai giudici
tributari la disapplicazione dei regolamenti comunali TARSU per gli anni 2010 e
2011 (art. 7, ultimo comma, D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992) in quanto trattasi di
regolamenti illegittimi per tutti i motivi giuridici sopra esposti.
Considerazioni conclusive
Nell’ottica del federalismo fiscale, c’è la volontà del Governo di reintrodurre la
TARSU ancorandola, però, alla rendita e non più alla superficie.
In ogni caso, qualunque siano le intenzioni del legislatore, l’importante è che
l’intero istituto giuridico sia ridisciplinato in modo chiaro, organico e
preciso per non alimentare dubbi interpretativi tra i contribuenti, i
professionisti e, soprattutto, i Comuni, questi ultimi soggetti al controllo
della Corte di Conti.
La disciplina, infatti, non può essere rinviata (o meglio, delegata) alla
giurisprudenza (seppur più autorevole) o, addirittura, alla semplice
potestà regolamentare degli enti locali (Comuni): e ciò sia per i limiti
oggettivi di tale strumento (art. 52 D.Lgs. n. 446/1997 cit.) sia per le
soluzioni estremamente difformi assunte sino ad ora dai suddetti enti
locali.

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